Essere seguiti da un coach in azienda permette di avere un professionista super partes in grado di disinnescare eventuali criticità, di focalizzare le risorse umane sul percorso a loro più affine e di implementare globalmente la gestione interna.
Per questo, oggi parliamo con Paolo Vitale, corporate coach specializzato nello sviluppo del potenziale dei professionisti in azienda e nell'evoluzione aziendale attraverso analisi, piani strategici e interventi di assessment e riposizionamenti professionali.
1 Qual è la prima cosa che osservi quando inizi un percorso di coaching in azienda?
Nel primo incontro con il coachee ascolto e osservo il linguaggio della persona, il wording con cui descrive se stesso, le situazioni, le emozioni, i gesti, le espressioni. Se usa frasi come “tutti mi dicono che…” oppure “nessuno capisce che…”, se nel raccontare parla di fatti o opinioni, oppure se nel riferire episodi di vita aziendale mi racconta quello che avrebbe voluto dire o fare piuttosto che quello che ha detto o fatto realmente. Il primo incontro è fondamentale per settare il rapporto con la persona e raccogliere il suo percepito sui temi che tratteremo.
2 Porta più risultati lavorare sul singolo professionista o in sessioni di gruppo?
Dipende dal tema e dagli obiettivi. Se il singolo professionista migliora su temi che hanno effetti positivi sul team, ok per l’azione individuale; se il team lavora su una visione o una azione comune, allora anche l’azione sul team è una scelta intelligente.
Spesso procedo in parallelo, coaching con il gruppo e con i singoli, il risultato che si raccoglie è più completo.
3 La D.E.I. - diversità equità inclusione, sarà sempre più presente nelle aziende come valore intrinseco da tutelare, cosa faresti da subito nelle imprese per implementare questo trinomio?
L’implementazione di questi temi per me passa attraverso una fotografia dell’azienda e poi per una strategia di implementazione per definire da quale argomento iniziare e perché. Trovare la reason why è necessario per dare il via ad un processo di cambiamento che tocca valori e persone: se vuoi cambiare devi avere e dare una forte motivazione coerente con l’organizzazione e il suo futuro.
4 Quale sarà per te la priorità su cui lavorare all’interno delle aziende da qui ai prossimi due anni?
Il tema prioritario è come attirare e trattenere i giovani in azienda. Questo significa lavorare sull’employer branding, rivedere i processi lavorativi e l’organizzazione nel suo complesso. Anche creare percorsi formativi ad hoc, ad esempio Academy aziendali. In questo scenario, se una azienda si dimostra attenta a temi quali diversità, inclusione, equità, ambiente, si dimostra attenta agli elementi cui sempre più i giovani danno rilevanza per la propria scelta. Dobbiamo aggiungere anche una riflessione sugli stipendi: nel triennio 2020-2022 sempre più persone hanno compreso quanto costi recarsi sul posto di lavoro, risiedere vicino al posto si lavoro, gestire la propria vita in funzione del lavoro e contemporaneamente, molte spese sono aumentate, dagli affitti, alle bollette al carburante fino al caffè al bar o al pasto in pausa pranzo. In sostanza, gli stipendi molto spesso non sono più adeguati al costo della vita. I più giovani lo avvertono più di tutti e fanno scelte alternative, tra queste la più terribile: rinunciare al lavoro. Direi che c’è molto su cui lavorare nei prossimi anni.
5 Un punto di forza e di debolezza delle aziende italiane rispetto a quelle estere in ambito di gestione delle risorse umane?
Le aziende estere non sono tutte uguali, ogni Paese ha la propria cultura del lavoro e in più la dimensione aziendale conta molto in ambito HR.
In Italia, un punto di forza è certamente la catena di comando corta: se la Direzione decide si agisce. Del resto, c’è poca cultura nella gestione risorse umane per cui serve pazienza, ascolto, chiarezza di obiettivi, lavorare sulle motivazioni personali, è un work in progress che non si improvvisa e va accompagnato.
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