Workation: cos’è, perché piace tanto e cosa bisogna sapere davvero
- Caterina Boschetti
- 17 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Negli ultimi anni, il concetto di workation – una fusione tra lavoro (work) e vacanza (vacation) – si è fatto strada nella vita di molti professionisti. Soprattutto dopo la pandemia, che ha reso lo smart working una prassi (abbastanza) consolidata, sempre più persone hanno scelto di portare il laptop in valigia e lavorare da luoghi inaspettati: spiagge, montagne, città d’arte o piccoli borghi. Ma cosa significa davvero fare una workation? E quali sono i vantaggi e i rischi da considerare?
Cos’è una workation?
La workation è una modalità di lavoro ibrida in cui un professionista svolge le sue attività da remoto, ma in un luogo normalmente associato alla vacanza. Non si tratta, quindi, di ferie vere e proprie, ma di una forma di lavoro a distanza temporaneo, spesso vissuto in località turistiche o rilassanti, con l’obiettivo di conciliare produttività e benessere.
In Italia, il termine è ancora relativamente giovane, ma la pratica sta diventando comune soprattutto tra freelance, manager, professionisti digitali e lavoratori delle aziende più innovative.
Perché si è diffusa così tanto?
La diffusione della workation è il risultato di un cambiamento culturale profondo nel mondo del lavoro. Prima di tutto, la pandemia ha sdoganato lo smart working, trasformandolo da eccezione a regola. Secondo dati ISTAT, il lavoro da remoto in Italia è passato da una nicchia a una soluzione strutturale per milioni di lavoratori.
In parallelo, è aumentata l’attenzione al benessere mentale. Dopo anni difficili, molte persone cercano un equilibrio tra impegni professionali e qualità della vita. La workation promette proprio questo: lavorare senza rinunciare al piacere di scoprire posti nuovi o, semplicemente, staccare dalla routine quotidiana.
Anche le aziende stanno mostrando apertura verso questa possibilità, riconoscendone i vantaggi in termini di motivazione, retention e attrazione di talenti.
I numeri del fenomeno (con uno sguardo all’Italia)
Il fenomeno workation sta crescendo rapidamente anche nel nostro Paese. Secondo una ricerca riportata da ETL Global, il 20% degli europei ha già fatto almeno una workation, e un ulteriore 26% ci sta pensando seriamente. In media, chi sceglie questa modalità lavora circa 40 giorni all’anno da una località diversa dalla propria residenza.
E in Italia? I dati sono incoraggianti: il 68% dei lavoratori italiani ha dichiarato di essere interessato a sperimentare una workation. Le destinazioni preferite? Toscana, Dolomiti, Sicilia, Sardegna e i borghi dell’Italia centrale, spesso scelti per la loro bellezza e tranquillità, ma anche per l’accesso a una buona connessione internet e servizi digitali.
Parallelamente, cresce l’offerta di soluzioni dedicate: hotel con spazi coworking, pacchetti “work & travel”, piattaforme che aggregano destinazioni workation-friendly.
Il lato oscuro della workation: non è sempre vacanza
Ma attenzione: una workation non è una vacanza camuffata. Uno degli errori più comuni è pensare che lavorare da un luogo esotico equivalga a vivere in uno stato di relax permanente. In realtà, le sfide non mancano. La connessione internet instabile, la difficoltà di concentrarsi in ambienti nuovi, la gestione del fuso orario o l’assenza di uno spazio di lavoro ergonomico possono trasformare un sogno in una fonte di stress.
Un’altra questione centrale è il diritto alla disconnessione. In un contesto in cui si lavora da una location vacanziera, il confine tra tempo libero e tempo lavorativo può diventare molto sottile. Senza limiti chiari, il rischio è quello di restare sempre connessi, con un impatto negativo sul benessere psicologico.
Infine, esistono anche implicazioni legali e fiscali da non sottovalutare: non tutte le destinazioni permettono di lavorare legalmente da remoto senza permessi specifici. In alcuni casi, superare determinati limiti temporali può addirittura comportare obblighi fiscali nel paese ospitante. Per questo, soprattutto nel caso di workation internazionali, è consigliabile informarsi bene (e magari rivolgersi a un consulente).
Conclusioni: workation sì, ma con consapevolezza
La workation è senza dubbio una delle espressioni più interessanti del lavoro flessibile contemporaneo. Offre nuove prospettive di equilibrio tra produttività e benessere, permette di viaggiare senza rinunciare agli impegni lavorativi, e rappresenta una leva utile anche per le aziende che vogliono distinguersi nella war for talent.
Tuttavia, non va idealizzata. Una workation ben riuscita richiede organizzazione, chiarezza di ruoli, strumenti digitali adeguati, rispetto dei diritti (come quello alla disconnessione), e consapevolezza delle regole, tanto personali quanto aziendali.
Per chi la vive, può rappresentare un’occasione di rigenerazione. Per chi la gestisce in azienda, un’opportunità per ripensare i modelli organizzativi. In entrambi i casi, il segreto è non farsi abbagliare dalle palme o dai rifugi alpini: una workation efficace parte da un buon equilibrio tra flessibilità e responsabilità.
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